Cerca con Google ! 

Storia delle tre mele Storia di Ali Nur Ed-din e di Hasan Badr Ed-Din (1^ Parte).

Notizie del giorno per documentarsi su ciò che accade nel mondo

Ti invitiamo a dedicare qualche minuto per aiutarci a capire meglio quanto soddisfiamo le tue esigenze!

Cartina dell'Iraq

Dizionari Enciclopedia Storia Link utili

La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

Mille e Una

Storia delle Tre mele - Storia della dama trucidata e del suo giovane marito

Storia delle tre mele Storia di Ali Nur Ed-Din e di Hasan Badr Ed-Din (1^ Parte)

Storia delle tre mele Storia di Ali Nur Ed-din e di Hasan Badr Ed-Din (2^ Parte)

Storia delle Tre mele Storia di Ali Nur Ed-Din e di Hasan Badr Ed-Din (3^ Parte)

Storia delle Tre Sorelle

Raccolta di novelle e fiabe della Letteratura Araba

Le mille e una notte - Introduzione

Il Mercante e Il Genio

Storia del Pescatore

Le avventure del Califfo Harun Ar Rashid

Storia del Barbiere e Storia del Primo Fratello Gobbo

Storia del Facchino di Bagdad

Storia del Fratello dalle Labbra Tagliate

Storia del Mancino

Storia del Medico Ebreo e la Storia del Giovane di Mossul

Storia del Mercante Cristiano

Storia del Piccolo Gobbo

Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari Banu

Storia del Principe Qamar Az Zaman

Storia del Principe Zeyn Al-Asnam e del Re dei Geni

Storia del Quarto Fratello Guercio e Storia del Quinto Fratello dalle orecchie tagliate

Storia del Sarto e Storia del Giovane Zoppo

Storia del Secondo Fratello Sdentato e Storia del Terzo Fratello Cieco

Storia del Sovrintende e Storia dell'Invitato

Storia della Principessa Giulnar La Marina

Storia delle Tre Mele

Storia D'Ali Cogia Mercante di Bagdad

Storia Dell'Uomo Addormentato Ridestato

Storia di Aladino e Della Lampada Meravigliosa

Storia di Ali Baba e dei Quaranta Ladroni Sterminati da una Schiava

Storia di Ali Ibn Bakkar e di Shams An Nahar

Storia di Badr Principe di Persia e della Principessa Giawara Figlia del Re As Samandal

Storia di Codadad e dei suoi Fratelli

Storia di Ghanim Lo Schiavo d'Amore

Storia di Nur ed Din e della Bella Persiana

Storia di Sindibad il marinaio

Le mille e una notte Conclusione

Le mille e una notte

I grandi classici cultura

I grandi classici

Google map Iraq

Cartina dell'Iraq

Cartina dell'Arabia Saudita

Rai cultura

Rai play

LE MILLE E UNA NOTTE - STORIA DELLE TRE MELE

STORIA DI ALI NUR ED-DIN E DI HASAN BADR ED-DIN (1^ Parte)

Principe dei credenti, c'era una volta in Egitto un sultano, grande difensore della giustizia, benefico, misericordioso, liberale, e inoltre di un valore che lo rendeva temibile per i suoi vicini. Egli amava i poveri, proteggeva i dotti, che innalzava alle prime cariche dello stato. Il visir di quel sultano era un uomo prudente, saggio, astuto esperto nelle lettere e in tutte le scienze. Quel ministro aveva due figli molto belli, i quali seguivano le sue orme; il primogenito si chiamava Mohammed Shams ed-Din, e il cadetto Ali Nur ed-Din. Essendo morto il visir loro padre, il sultano li mandò a chiamare, e avendoli fatti rivestire entrambi di una veste da visir:

«Io sono molto spiacente», disse loro, «della perdita che avete subita, e non ne sono meno addolorato di voi; poiché so che abitate insieme e che siete perfettamente uniti, vi gratifico entrambi della stessa dignità. Andate e imitate vostro padre».

I due nuovi visir ringraziarono il sultano della sua bontà, e si ritirarono a casa loro, dove presero cura dei funerali del padre.

Dopo un mese fecero la loro prima uscita, andarono per la prima volta al consiglio del sultano e poi continuarono ad assistervi regolarmente nei giorni in cui si radunava.

Un giorno, mentre si intrattenevano dopo cena su cose indifferenti ed era la vigilia di una caccia, in cui il primogenito doveva accompagnare il sultano, questo giovane disse al fratello minore:

«Fratello mio, poiché non siamo ancora ammogliati e viviamo in così buona armonia, mi è venuta un'idea: sposiamo in uno stesso giorno due sorelle che sceglieremo in qualche famiglia a modo. Che ne dici della mia idea?».

«Dico, fratello mio, che è eccellente. Non si può pensare niente di meglio e per conto mio sono pronto a fare ciò che hai suggerito.»

«Oh! non è ancora tutto», ripigliò Shams ed-Din, «la mia immaginazione va più in là: supposto che le nostre mogli concepiscano la prima notte delle nostre nozze e poi si sgravino lo stesso giorno, la tua di un figlio la mia di una figlia, li mariteremo insieme.»

«Benissimo», rispose il cadetto, «benone, acconsento di gran cuore: solo bramerei sapere se pretenderesti che mio figlio dovesse dare una dote a tua figlia».

«Naturalmente», rispose il primogenito.

«E in questo non andiamo d'accordo», replicò il cadetto, «il maschio essendo più nobile della femmina, spetterebbe a te dare una buona dote a tua figlia».

«Guai a tuo figlio!», riprese adirato il primogenito, «mi meraviglio come tu possa pensare che sia degno di mia figlia; sappi, temerario, che mando a monte ogni cosa, non volendo assolutamente maritare mia figlia con tuo figlio, quand'anche tu gli dessi dieci volte più di quanto possiede».

Simile bizzarra questione sorta fra due fratelli sul matrimonio dei loro figli non ancora nati, non finì lì e anzi continuò finché Mohammed Shams ed-Din si infuriò al punto di arrivare alle minacce.

Linea flashing backefro

Linea flashing backefro

-^

«Se domani», disse, «non dovessi andare ad accompagnare il sultano a caccia ti tratterei come meriti: ma al mio ritorno ne riparleremo, sta tranquillo», e si ritirò nel suo appartamento.

L'indomani si alzò per tempo e si recò dal sultano.

In quanto a Ali Nur ed-Din, dopo aver passato una notte agitatissima, vedendo che non era più possibile continuare a vivere con un fratello che lo trattava con alterigia, fece preparare una mula, si provvide di danaro, di pietre preziose e di viveri, e, dopo aver avvertito la sua gente che andava a fare un viaggetto di due o tre giorni, partì.

Appena uscito dal Cairo prese la via del deserto; senonché, essendo morta la sua mula, dovette andare a piedi.

Per fortuna lo incontrò un corriere che andava a Bassora, il quale, presolo in groppa, lo trasportò fin là.

Mentre Ali Nur ed-Din cercava in quella città un alloggio, vide venire il visir del sultano di Bassora, accompagnato da un numeroso seguito.

Quel ministro, avendo per caso gettato uno sguardo sul giovine viaggiatore e avendolo trovato di fisionomia attraente, si fermò per domandargli chi fosse e donde venisse.

«Signore», rispose Nur ed-Din, «sono egiziano, nato al Cairo e ho abbandonato la mia patria per un giusto motivo, con la ferma risoluzione di non tornarvi mai più».

«Seguitemi», riprese il visir, «venite con me, e forse vi farò dimenticare chi v'ha costretto ad abbandonare il vostro paese».

Appena il visir ebbe conosciute le belle qualità di Nur ed-Din, gli si affezionò e un giorno gli disse:
«Figlio mio, io sono, come vedete, in una età molto avanzata, vi voglio bene, ho una figlia che idolatro, che è altrettanto bella quanto voi siete ben fatto; la volete? Io sono disposto a darvela. Non avendo bisogno d'altro fuorché di riposo nell'estrema vecchiezza in cui sono, vi affiderò non solamente l'amministrazione di tutti i miei beni, ma anche quella degli affari dello stato».

Appena il gran visir di Bassora ebbe finito questo discorso pieno di bontà e di generosità, Ali Nur ed-Din gli si gettò ai piedi, e con parole che dimostravano la gioia e la riconoscenza di cui il suo cuore era pieno, gli disse di essere dispostissimo a fare quanto gli proponeva.

Linea flashing backefro

Linea flashing backefro

-^

Allora il gran visir chiamò i principali ufficiali della sua casa, ordinò loro di fare addobbare la grande sala del suo castello e preparare un gran pranzo. Poi mandò a pregare tutti i signori della corte e della città, di darsi la pena di recarsi a casa sua. Quando furono tutti radunati, siccome Ali Nur ed-Din lo aveva informato della sua identità, egli disse a quei signori (poiché stimò giusto di parlare così per soddisfare coloro di cui aveva rifiutato il parentado):

«Mi pregio, o signori, di farvi nota una cosa fino a questo giorno tenuta segreta. Ho un fratello che è gran visir del sultano d'Egitto come io ho l'onore di esserlo del sultano di questo regno. Questo fratello ha un solo figlio, che non ha voluto ammogliare alla corte d'Egitto e me l'ha mandato per impalmare mia figlia, onde riunire a questo modo le nostre discendenze. Tal figlio, da me riconosciuto al suo arrivo qui come mio nipote, e che ora diventa mio genero, è questo giovane che vi presento. Mi lusingo che gli vorrete fare l'onore di assistere alle sue nozze, che ho deciso di celebrare oggi».

Non potendo nessuno di quei signori trovare offensivo che egli avesse preferito suo nipote a tutti i grandi partiti proposti, risposero che faceva bene a fare simile matrimonio, e che volentieri avrebbero assistito alla cerimonia.

Appena gli ospiti radunati in casa del gran visir di Bassora ebbero manifestato a quel ministro la gioia che provavano per il matrimonio di sua figlia con Nur ed-Din, si misero tutti a tavola, e vi restarono per molto tempo.

Sul finire del pranzo furono recati dei confetti, e ciascuno ne prese secondo l'usanza quel tanto che poteva portar via, poi entrarono i cadì col contratto di matrimonio in mano. Lo sottoscrissero i principali signori, e poi la compagnia si ritirò.

Quando rimase solo la gente di casa, il gran visir incaricò quelli che avevano cura del bagno, di condurvi Nur ed-Din.

Linea flashing backefro

Linea flashing backefro

-^

Allorché lo sposo fu lavato e asciugato, gli venne presentato un abito di grande magnificenza. In questo stato e profumato dei più squisiti odori, egli andò a trovare il gran visir suo suocero, il quale rimase contentissimo del suo bell'aspetto, e avendolo fatto sedere vicino a sé:

«Figlio mio», gli disse, «voi m'avete dichiarato chi siete e il grado che avevate alla corte d'Egitto: m'avete detto pure che avete avuto una disputa con vostro fratello, e che perciò vi siete allontanato dal vostro paese. Vi prego ora di rivelarmi il motivo della vostra disputa. Voi dovete avere in me una perfetta fiducia, e non nascondermi nulla».

Ali Nur ed-Din raccontò tutte le circostanze della lite avuta con suo fratello. Il gran visir non poté ascoltare tale racconto senza sganasciarsi dalle risa.

«Ecco», disse, «la cosa più singolare del mondo! E' dunque possibile, figlio mio, che la vostra lite sia arrivata fino al punto che voi dite, per un matrimonio immaginario? Mi dispiace che vi siate disgustato con vostro fratello per una sciocchezza; vedo che lui ha avuto torto a offendersi di ciò che gli avete detto solo per scherzo, e devo render grazie al cielo di una questione che mi procura un genero quale voi siete. Ma», aggiunse il vecchio, «la notte è già avanzata; ed è tempo di ritirarsi: andate da mia figlia, vostra sposa, che vi attende. Domani vi presenterò al sultano, sperando che egli vi riceva in modo da restarne entrambi contenti».

Ciò che è più notevole, - continuò il gran visir Giàafar - è che nello stesso giorno in cui queste nozze si celebravano a Bassora, Mohammed Shams ed-Din si ammogliava al Cairo; ed ecco i particolari del suo matrimonio.

Dopo che Ali Nur ed-Din si fu allontanato dal Cairo con l'intenzione di non ritornarvi più, Shams ed-Din, il primogenito, che era andato a caccia col sultano di Egitto, essendo di ritorno nel giro di un mese (poiché il sultano si era lasciato trasportare dall'ardente passione della caccia, ed era stato assente durante tutto quel tempo), corse nell'appartamento di Nur ed-Din, ma rimase meravigliato nel sentire che col pretesto di andare a fare un viaggio di due o tre giorni, era partito con una mula il giorno stesso della partenza per la caccia del sultano, e che da quel giorno non era più ricomparso.

Linea flashing backefro

Linea flashing backefro

-^

E tanto più ne fu spiacente, in quanto non esitò a credere di essere la causa del suo allontanamento.

Egli spedì un corriere che passò per Damasco ed andò fino ad Aleppo: ma Nur ed-Din si trovava allora a Bassora.

Quando il corriere al suo ritorno ebbe riferito che non ne aveva avuto nessuna notizia, Mohammed Shams ed-Din si propose di mandarlo a cercare altrove, e intanto, deciso ad ammogliarsi, sposò la figlia di uno dei primi e più potenti signori del Cairo, nello stesso giorno in cui suo fratello sposava la figlia del gran visir di Bassora.

Questo non è tutto - proseguì Giàafar. - Ecco quel che accadde ancora.

In capo a nove mesi la moglie di Shams ed-Din si sgravò di una figlia al Cairo e nello stesso giorno quella di Nur ed-Din dette alla luce un bel maschio che fu chiamato Hasan Badr ed-Din.

Il gran visir di Bassora manifestò la sua gioia con grandi elargizioni e con pubbliche feste per la nascita del suo nipotino.

Poi, per dimostrare a suo genero quanto egli fosse contento, andò al palazzo a supplicare umilissimamente il sultano perché accordasse a Ali Nur ed-Din la successione nella sua carica affinché - disse - prima di morire avesse la consolazione di vedere suo genero gran visir in vece sua.

Il sultano, che aveva veduto Ali Nur ed-Din con molto piacere quando gli era stato presentato dopo il suo matrimonio, e da allora ne aveva sempre sentito parlare con molte lodi, accordò di buon grado la grazia domandata.

E lo fece in sua presenza rivestire dell'abito del gran visir.

La gioia del suocero l'indomani fu al colmo, quando vide suo genero, presente al consiglio in sua vece, fare le funzioni di gran visir. Ali Nur ed-Din le adempì così bene, che sembrava avere per tutta la vita esercitato quella carica. In seguito continuò ad assistere al consiglio ogni qualvolta le infermità della vecchiaia non permisero al suocero di trovarvisi. Quel buon vecchio morì quattro anni dopo il matrimonio, con la soddisfazione di vedere un rampollo della sua famiglia che prometteva di continuarla splendidamente.

Ali Nur ed-Din gli rese gli ultimi onori con tutta l'amicizia e la riconoscenza possibile: e appena Hasan Badr ed-Din, suo figlio, fu giunto all'età di sette anni, lo pose fra le mani di un maestro eccellente, perché lo educasse in modo degno della sua nascita. E' anche vero che il ragazzo era così intelligente che insegnargli qualcosa era un piacere.

Due anni dopo che Hasan Badr ed-Din era stato messo fra le mani di quel maestro, egli non solo sapeva leggere, ma aveva imparato perfettamente il Corano a memoria. Nur ed-Din suo padre gli diede altri maestri, i quali coltivarono in tal guisa il suo intelletto che all'età di dodici anni non aveva più bisogno del loro aiuto.

Fino a quel punto Nur ed-Din non aveva pensato se non a farlo studiare, e non l'aveva ancora presentato nel gran mondo. Lo condusse al palazzo per procurargli l'onore di fare atto di riverenza al sultano, il quale lo ricevette molto favorevolmente. Quelli che lo videro per strada furono incantati della sua bellezza e fecero esclamazioni di meraviglia dandogli mille benedizioni.

Siccome suo padre si proponeva di renderlo capace di occupare il suo posto, non risparmiò nulla a questo fine, e lo fece entrare nei più difficili affari, per avvezzarlo di buon'ora.

Insomma non trascurava alcuna cosa per l'educazione di un figlio che gli era caro, e cominciava già a godere del frutto dei suoi sforzi, quando fu assalito all'improvviso da una malattia di tale violenza che capì benissimo di non essere lontano dalla morte. Non si illuse, e subito si dispose a morire da vero musulmano.

In quel momento non dimenticò il figlio Hasan Badr ed-Din. Lo fece chiamare e gli disse:

«Figlio mio, vedi che tutto al mondo passa, soltanto là dove andrò ben presto tutto è duraturo: bisogna che tu cominci fin da ora a prendere le mie stesse disposizioni; preparati a fare questo passaggio senza dispiacere e senza che la coscienza possa rimproverarti sui doveri di un musulmano o su quelli di un perfetto onest'uomo. In quanto alla religione, sei abbastanza istruito da quello che ti hanno insegnato i maestri; in quanto all'onestà voglio darti alcuni ammaestramenti che cercherai di mettere a profitto. Siccome è necessario conoscere se stessi, e tu non puoi avere perfettamente questa conoscenza se non sai chi sono io, voglio dirtelo ora».

«Io son nato in Egitto», proseguì, «mio padre, tuo nonno, era primo ministro del sultano del regno. Io stesso ho avuto l'onore di essere uno dei visir dello stesso sultano con mio fratello, tuo zio, il quale, almeno credo, vive ancora e si chiama Mohammed Shams ed-Din. Fui obbligato a separarmi da lui e venni in questo paese, dove sono giunto al grado che ho tenuto finora. Ma conoscerai più ampiamente tutte queste cose da ciò che ho scritto su questo quaderno».

Nel dire questo Nur ed-Din gli diede un quaderno scritto di suo pugno.

«Prendi», gli disse, «lo leggerai a tuo agio; vi troverai fra le altre cose il giorno del mio matrimonio, e quello della tua nascita».

Hasan Badr ed-Din, sensibilmente afflitto nel vedere suo padre nello stato in cui era, commosso dai suoi discorsi, ricevette piangendo il quaderno, promettendogli di non disfarsene mai.

In quel punto Nur ed-Din fu preso da un deliquio, ma rinvenne quasi subito e ripigliando la parola:

«Figlio mio», disse, «la prima massima che voglio insegnarti è di non frequentare senza discernimento ogni sorta di persone. Il mezzo per vivere tranquillo è di darsi interamente a se stesso e di non palesare i propri pensieri con facilità.

La seconda è di non fare violenza a nessuno, poiché in tal caso tutti si rivolterebbero contro di te, e dovrai guardare il mondo come un creditore, a cui sei debitore di moderazione, di compassione e di tolleranza.

La terza è di non dire neppure una parola quando qualcuno ti ingiuria. "Si è fuori di pericolo, dice il proverbio, quando si serba il silenzio." Ora, è specialmente in questa occasione che devi praticarlo. Sai a questo proposito che uno dei nostri poeti disse che il silenzio è l'ornamento e la salvaguardia della vita. "Uno non si è mai pentito di aver taciuto, ma spesso di aver parlato".

La quarta è di non bere vino, perché è la sorgente di tutti i vizi.

La quinta è di governare saggiamente i tuoi beni: se non li dissipi, ti serviranno a preservarti dalla necessità; ciò nondimeno non bisogna avere troppo né essere avaro».

Insomma Ali Nur ed-Din continuò sino all'ultimo momento della sua vita a dare buoni consigli a suo figlio: e quando fu morto gli si fecero magnifiche esequie.

Il califfo non si stancava di ascoltare il gran visir Giàafar, che continuò così la sua storia.

Nur ed-Din fu dunque sepolto con tutti gli onori dovuti alla sua dignità. Hasan Badr ed-Din di Bassora (così fu soprannominato poiché era nato in quella città), provò grandissimo dolore alla morte del padre. Invece di passare un mese, secondo il costume, ne passò due in lacrime, senza vedere alcuno, e senza neppure uscire per compiere i suoi doveri presso il sultano di Bassora che, sdegnato per questa negligenza, e considerandola come segno di disprezzo per la sua corte e per la sua persona, si lasciò trasportare dall'ira. Nel suo furore fece chiamare il nuovo gran visir (poiché ne aveva nominato uno appena saputa la morte di Nur ed-Din), e gli ordinò di recarsi nella casa del defunto e di confiscarla con tutte le altre sue case, terre e beni, senza lasciar nulla a Hasan Badr ed-Din, e comandò pure che si impadronissero del giovane.

Il nuovo gran visir, accompagnato da un gran numero di uscieri del palazzo, di gente di giustizia e di altri ufficiali, non indugiò a mettersi in cammino per andare ad eseguire gli ordini ricevuti.

Uno degli schiavi di Hasan Badr ed-Din, che per caso si trovava fra la folla, appena ebbe saputo il disegno del visir, corse a informarne il padrone.

Lo trovò seduto nel vestibolo della sua casa tanto afflitto come se suo padre fosse morto allora; si gettò ai suoi piedi tutto anelante, e dopo avergli baciato il lembo della veste:

«Salvatevi, signore», gli disse, «salvatevi prontamente».

«Che c'è?», domandò Badr ed-Din alzando la testa, «che notizie mi porti?»

«Signore», rispose quello, «non c'è tempo da perdere. Il sultano è terribilmente in collera con voi e vengono da parte sua a confiscare ciò che possedete e anche ad impadronirsi della vostra persona».

Il discorso di questo schiavo fedele e affezionato lasciò Badr ed-Din in grande perplessità.

«Ma posso», disse, «avere il tempo di rientrare in casa e di prendere almeno un po' di denaro e qualche pietra preziosa?»

«No, signore», replicò lo schiavo, «il gran visir sarà qui all'istante. Partite subito, salvatevi!»

Hasan Badr ed-Din si alzò dal sofà dov'era, infilò i piedi nelle pantofole e, dopo essersi coperta la testa con un lembo della sua veste per nascondersi il viso, fuggì senza sapere da qual lato volgere i suoi passi, per evitare il pericolo che lo minacciava. Il primo pensiero che gli venne fu di correre in fretta per giungere alla più vicina porta della città. Corse senza fermarsi fino al cimitero pubblico, e siccome la notte si avvicinava, decise di trascorrerla nella tomba di suo padre, che era un edificio grande, in forma di cupola che Nur ed-Din aveva fatto fabbricare quando era ancora vivo. Ma trovò per via un ebreo ricchissimo, banchiere e mercante di professione. Tornava in città da un porto dove lo aveva chiamato qualche affare.

Questo ebreo, riconosciuto Badr ed-Din, si fermò e lo salutò molto rispettosamente.

Si chiamava Isacco, e dopo aver salutato Hasan Badr ed-Din e avergli baciata la mano, gli disse:

«Signore, oserò prendermi la libertà di domandarvi dove andate a quest'ora, solo, a quanto pare, e un po' agitato? Che cosa vi mette in affanno?».

«Sì», rispose Badr ed-Din, «mi sono addormentato e nel mio sonno m'è apparso mio padre. Aveva lo sguardo terribile come se fosse stato irritato contro di me. Mi sono riscosso dal sonno all'improvviso, e, pieno di spavento, sono partito per venire a fare la mia preghiera sulla sua tomba».

«Signore», ripigliò l'ebreo, il quale non poteva sapere perché Hasan Badr ed-Din fosse uscito dalla città, «siccome il gran visir vostro padre aveva caricato di mercanzie parecchie navi tuttora in mare, e che ora vi appartengono, vi supplico di accordarmi la preferenza su ogni altro mercante. Io sono in condizioni di comprare in denaro contante il carico di tutte le vostre navi, e per incominciare, se vi piace cedermi quello della prima che giungerà in porto, io vi conterò al momento mille dinàr. Li ho qui in una borsa, e sono pronto a darveli anticipatamente».

Ciò dicendo trasse una borsa con il suo suggello che aveva sotto il braccio coperto dalla veste e gliela mostrò.

Hasan Badr ed-Din, nello stato in cui era, cacciato di casa sua e spogliato di quanto aveva al mondo, considerò la proposta dell'ebreo come un favore del cielo.

Non esitò ad accettarla con gioia.

«Signore», gli disse allora l'ebreo, «voi dunque mi date per mille dinàr il carico della prima delle vostre navi che arriverà in questo porto?»

«Sì, ve la vendo per mille dinàr», rispose Hasan Badr ed-Din, «è cosa fatta».

L'ebreo tosto gli pose nelle mani la borsa di mille dinàr, offrendosi di contarli, ma Badr ed-Din gliene risparmiò la fatica, dicendogli che si fidava di lui.

«Quand'è così», ripigliò l'ebreo, «abbiate la bontà, signore, di firmare il contratto che abbiamo fatto».

Ciò dicendo, trasse il suo calamaio, che portava alla cintura, e dopo aver preso una piccola canna ben temperata per scrivere, gliela presentò con un pezzetto di carta, e mentre teneva in mano il calamaio, Badr ed-Din scrisse queste parole:

Questo scritto è per attestare che Hasan Badr ed-Din di Bassora ha venduto all'ebreo Isacco, per la somma di mille dinàr già ricevuti, il carico del primo dei suoi navigli che approderà in questo porto.

Hasan Badr ed-Din di Bassora

Fatto questo, lo diede all'ebreo che lo pose nel suo portafogli e prese in seguito commiato da lui.

Mentre Isacco proseguiva il suo cammino verso la città, Hasan Badr ed-Din continuò il suo, verso la tomba di suo padre Ali Nur ed-Din.

Giuntovi, si prosternò bocconi, e con gli occhi bagnati di lacrime si pose a deplorare la sua miseria.

«Ohimè!», diceva, «povero Badr ed-Din, che sarà mai di te? Dove andrai a cercare un asilo contro l'ingiusto principe che ti perseguita? Non bastava di esser afflitto per la morte d'un padre tanto amato? Bisognava dunque che la sorte aggiungesse una nuova disgrazia alle mie giuste ambasce?»

Restò a lungo in questo stato: ma finalmente si alzò, e avendo appoggiato la testa su! sepolcro di suo padre, i suoi dolori si rinnovarono con maggior violenza di prima, e non cessò di sospirare e di piangere finché, soccombendo al sonno, levò la testa dal sepolcro e si stese quant'era lungo sul lastrico, dove si addormentò.

Aveva appena cominciato a gustare la dolcezza del riposo, quando un genio, il quale aveva stabilito la sua dimora in quel cimitero durante il giorno, disponendosi a correre il mondo in quella notte secondo il suo costume, scorse quel giovane nella tomba di Ali Nur ed-Din. Egli vi entrò, e, siccome Badr ed-Din era coricato supino, rimase meravigliato e abbagliato dallo splendore della sua bellezza!

Quando il genio - ripigliò il gran visir Giàafar - ebbe attentamente esaminato Hasan Badr ed-Din, disse fra sé:

«A giudicare questa creatura dal suo bell'aspetto, non può essere se non un angelo del paradiso terrestre, che Iddio manda per sconvolgere il mondo con la sua bellezza».

Finalmente, dopo averlo ben guardato, si sollevò ben alto nell'aria, dove per caso incontrò una fata.

Si salutarono, e quindi egli disse:

«Vi prego di scendere con me fino al cimitero dove dimoro, e vi farò vedere qualcosa di splendido». La fata acconsentì.

Essi discesero in un istante, e quando furono nella tomba, il genio disse alla fata, mostrandole Hasan Badr ed-Din:

«Ebbene, avete mai visto un giovane più bello di questo?».

La fata esaminò Badr ed-Din con attenzione, e poi, volgendosi verso il genio, rispose:

«Ammetto che è molto ben fatto: ma ho visto ora al Cairo un oggetto ancor più meraviglioso, di cui vi parlerò, se volete ascoltarmi».

«Mi farete un grandissimo piacere», replicò il genio.

«Bisogna dunque che sappiate», riprese la fata, «che il sultano d'Egitto ha un visir chiamato Mohammed Shams ed-Din, il quale ha una figlia dell'età di circa venti anni. Ella è la più bella e la più perfetta persona di cui abbia mai udito parlare. Il sultano, informato dalla voce pubblica della bellezza di questa giovinetta, fece chiamare il visir suo padre pochi giorni fa, e gli disse:

"Ho saputo che avete una figlia da maritare; desidero sposarla, volete accordarmela?".

Il visir, che non si aspettava una simile proposta, ne fu turbato, ma non abbagliato, e invece di accettarla con gioia (cosa che altri al suo posto non avrebbe mancato di fare) rispose al sultano:
"Sire, io non sono degno dell'onore che vostra maestà vuole farmi e la supplico umilissimamente di non prenderla in mala parte se mi oppongo al suo disegno. Voi sapete che io avevo un fratello chiamato Ali Nur ed-Din, che aveva come me l'onore di esser uno dei vostri visir. Abbiamo avuto una disputa, e per questa cagione scomparve d'improvviso; se non che ho saputo, or fa quattro giorni, che è morto a Bassora nella dignità di gran visir del sultano di quel regno. Egli ha lasciato un figlio, e siccome tempo fa ci promettemmo a vicenda di sposare insieme i nostri figli, supposto che ne avessimo, sono persuaso che egli è morto con l'intenzione di fare questo matrimonio. Dal canto mio vorrei adempiere la mia promessa e scongiuro vostra maestà di permetterlo. Vi sono in questa corte molti altri signori che hanno figlie che voi potete onorare della vostra parentela".

Il sultano d'Egitto fu irritato contro Mohammed Shams ed-Din, e rimase molto offeso dal rifiuto e dall'ardire di quello; così gli disse in un trasporto d'ira:

"Così rispondete alla bontà che io ho di volermi abbassare fino a imparentarmi con voi? Saprò vendicarmi della preferenza che osate dare ad un altro, e giuro che vostra figlia non avrà altro marito fuorché il più vile e il più deforme di tutti i miei schiavi".

Pronunciate queste parole, rimandò bruscamente il visir, che si ritirò in casa pieno di confusione, e crudelmente mortificato.

Oggi il sultano ha fatto venire uno dei suoi palafrenieri, gobbo davanti e dietro e brutto da far paura, e dopo aver ordinato a Mohammed Shams ed-Din di acconsentire al matrimonio di sua figlia con questo orribile schiavo, ha fatto stendere e sottoscrivere il contratto dai testimoni in sua presenza; i preparativi di queste nozze bizzarre sono finiti, e mentre vi parlo, tutti gli schiavi dei signori della corte di Egitto stanno alla porta di un bagno, ciascuno con una fiaccola in mano. Essi aspettano il palafreniere gobbo, per condurlo dalla sua sposa, la quale dal canto suo è già pettinata e abbigliata.

Nel momento in cui sono partita dal Cairo, le dame adunate si disponevano a condurla, con tutti i suoi ornamenti nuziali, nella sala dove deve ricevere il gobbo. Io l'ho veduta e vi assicuro che non si può guardarla senza meraviglia».

Quando la fata ebbe cessato di parlare, il genio le disse:

«Checché possiate dire, io non posso persuadermi che la bellezza di quella giovane sorpassi quella di questo giovane».

«Non voglio discutere con voi», replicò la fata, «ammetto che egli meriterebbe di sposare la vaga persona destinata al gobbo, e mi sembra che faremmo un'azione degna di noi se, opponendoci all'ingiustizia del sultano d'Egitto, potessimo sostituire questo giovane allo schiavo».

«Avete ragione», replicò il genio, «voi non potete credere quanto approvi il vostro piano; impediamo (io vi acconsento) la vendetta del sultano di Egitto, consoliamo un padre afflitto e rendiamo sua figlia tanto felice quanto si crede miserabile; non tralascerò nulla per far riuscire questo disegno, e sono persuaso che voi non starete con le mani in mano; io m'incarico di condurlo al Cairo senza svegliarlo, lasciando a voi la cura di portarlo altrove, quando avremo eseguita la nostra impresa».

Dopo che la fata e il genio ebbero concertato il loro piano, il genio portò via dolcemente Badr ed-Din, e, trasportatolo per aria con una inconcepibile velocità, andò a posarlo alla porta d'un albergo pubblico, prossimo al bagno donde il gobbo era in procinto di uscire con il seguito degli schiavi che attendevano.

Hasan Badr ed-Din, essendosi svegliato, fu molto sorpreso di vedersi in mezzo a una città a lui ignota; volle gridare per domandare dove era; ma il genio gli dette un colpetto sulla spalla avvertendolo di non dire parola.

Poi, mettendogli una fiaccola in mano, gli disse:

«Andate, mischiatevi fra quella gente che vedete alla porta di quel bagno, e camminate con loro fino a che non siate entrato in una sala dove si stanno per celebrare delle nozze. Il novello sposo è un gobbo, e lo riconoscerete facilmente. Mettetevi alla sua destra nell'entrata, e fin d'ora aprite la vostra borsa e distribuite per via i vostri dinàr ai suonatori, ai ballerini e alle danzatrici.

Quando sarete nella sala, non tralasciate di darne alle schiave che vedrete intorno alla sposa; ogni volta che metterete le mani nella borsa, cavatele piene di dinàr, e non risparmiatene. Fate esattamente quanto vi dico: non meravigliatevi di nulla e non temete. Fidatevi di una potenza superiore, la quale dispone di tutto a suo talento».

Il giovane Badr ed-Din, istruito su quanto doveva fare, avanzò verso la porta del bagno, e accese la fiaccola e quella di uno schiavo. Mischiandosi poi con gli altri, come se appartenesse a qualche signora del Cairo, s'incamminò con loro.

Hasan Badr ed-Din, trovandosi presso i suonatori, i ballerini e le ballerine, che camminavano immediatamente davanti al gobbo, cavava di tanto in tanto dalla borsa manate di dinàr che distribuiva loro.

Siccome faceva questi doni con una grazia tutta particolare e con un'aria molto cortese, coloro i quali le ricevevano gli fissavano gli occhi addosso, e appena lo avevano osservato, lo trovavano così bello da non poter più levare gli occhi dalla sua persona.

Si giunse infine alla porta del visir Mohammed Shams ed-Din, zio di Hasan Badr ed-Din, il quale era ben lungi dall'immaginarsi di aver suo nipote vicino a sé.

Degli uscieri, per impedire la confusione, fermarono tutti gli schiavi che portavano delle fiaccole, e non vollero lasciarli entrare. Respinsero anche Hasan Badr ed-Din: ma i suonatori, per i quali l'ingresso era libero, si fermarono protestando che non sarebbero entrati se non lo lasciavano entrare.

«Egli non è del numero degli schiavi», dicevano, «basta guardarlo, per convincersene. E senza dubbio un giovane straniero che vuole vedere le cerimonie che si fanno per le nozze in questa città».

Ciò dicendo, se lo misero in mezzo e lo fecero entrare, malgrado il divieto degli uscieri. Gli levarono la fiaccola, e dopo averlo introdotto nella sala, lo collocarono a destra del gobbo, il quale sedette presso la figlia del visir, su un trono magnificamente ornato.

La sposa era parata di tutti i suoi ornamenti: ma sul suo volto si scorgeva un languore o piuttosto una tristezza mortale, di cui non era difficile indovinare la causa, vedendo vicino a lei un marito deforme, così poco degno del suo amore.

Il trono di quegli sposi così male assortiti era in mezzo a un sofà.

Le mogli degli emiri, dei visir, degli ufficiali della camera del sultano, e parecchie altre dame della corte e della città, erano sedute ai lati un po' più in basso, ognuna secondo il suo grado, e tutte vestite in modo ricco e scintillante.

Quando videro entrare Hasan Badr ed-Din fissarono gli sguardi su di lui, ammirandone la statura, l'aspetto e la bellezza del volto e non potevano stancarsi di guardarlo. Quando fu seduto, non ve ne fu neppure una che non abbandonasse il suo posto per appressarglisi e guardarlo più da vicino; né ve ne fu alcuna che nel ritirarsi per riprendere il suo posto, non si sentisse agitata da un tenero tremore.

La diversità tra Hasan Badr ed-Din e il palafreniere gobbo, la cui figura metteva orrore, eccitò dei mormorii nell'adunanza.

«A questo bel giovane», esclamarono le dame, «bisognava dare la nostra sposa e non a codesto gobbo deforme!»

Né si fermarono qui, ma osarono lanciare delle imprecazioni contro il sultano, che abusando del suo potere assoluto univa la bruttezza alla bellezza, e ingiuriarono il gobbo, che si trovò molto confuso, con sommo piacere degli astanti, i cui fischi interruppero per qualche tempo la musica nella sala.

Finalmente i suonatori ricominciarono i loro concerti, e le donne che avevano vestito la sposa si avvicinarono.

Ogni volta che la sposa cambiava d'abito, si alzava dal suo posto, e, seguita dalle sue donne, passava davanti al gobbo senza degnarsi di guardarlo, e andava a presentarsi davanti a Hasan Badr ed-Din, per mostrarsi a lui nei suoi ornamenti.

Hasan Badr ed-Din, seguendo l'istruzione ricevuta dal genio, non tralasciava di mettere la mano nella borsa a trarne manate di dinàr, distribuendoli alle donne che accompagnavano la sposa.

Né dimenticava suonatori e ballerini e anche a loro ne gettava.

Essi si spingevano l'un l'altro per raccoglierli e gliene attestavano gratitudine, mostrando a cenni che volevano che la giovane sposa appartenesse a lui, non al gobbo.

Le donne che erano intorno a lei dicevano la stessa cosa, né si curavano d'essere sentite dal gobbo, al quale facevano mille sberleffi.

Finita la cerimonia di cambiar d'abito, i suonatori cessarono di suonare e si ritirarono, facendo segno a Hasan Badr ed-Din di restare. Le dame fecero lo stesso, ritirandosi dopo di loro con tutti quelli che non erano della casa. La sposa entrò in una stanza ove le sue donne la seguirono per spogliarla, e non restarono nella sala che il gobbo, Hasan Badr ed-Din e alcuni domestici. Il gobbo, il quale ce l'aveva terribilmente con Hasan Badr ed-Din, lo guardò bieco e gli disse:

«E tu, che aspetti? Perché non ti ritiri come gli altri? Va via!».

Siccome Badr ed-Din non aveva alcun pretesto per rimanersene là, se ne andò molto imbarazzato: ma appena fu giunto fuori dal vestibolo, si presentarono a lui il genio e la fata:

«Dove andate?», gli disse il genio, «restate: il gobbo non è più nella sala, egli è uscito per un bisogno, dovete solo rientrare e introdurvi nella camera della sposa. Quando sarete solo con lei, ditele arditamente che lo sposo siete voi, poiché l'intenzione del sultano è stata solo quella di divertirsi col gobbo. Per appagare il preteso marito voi gli avete fatto apprestare un buon piatto di crema nella scuderia. Ditele insomma su questo argomento quanto vi verrà in mente per persuaderla, e lei sarà contentissima di essere stata così piacevolmente ingannata. Intanto noi andiamo a dar ordine perché il gobbo non rientri, e non v'impedisca di rimanere con la vostra sposa, perché ella è vostra e non del gobbo».

Mentre il genio incoraggiava in questo modo Badr ed-Din e l'istruiva intorno al da farsi, il gobbo era veramente uscito dalla sala. Il genio s'introdusse dove egli stava, prese la figura di un grosso gatto nero, e si mise a miagolare in modo spaventoso.

Il gobbo gridò dietro al gatto e batté le mani per farlo fuggire: ma il gatto, invece di ritirarsi, fece brillare gli occhi di bragia e guardò ferocemente il gobbo, miagolando più forte di prima e facendosi grande in modo da sembrare grosso come un asinello.

Il gobbo, a tal vista, volle chiamare aiuto: ma lo spavento s'era talmente impadronito di lui, che rimase a bocca aperta senza poter profferire parola.

Linea flashing backefro

Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z

Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z

Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z

Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea

Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte

Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea

Storia Antica Storia Moderna

Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z

Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9

Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z

Linea flashing backefro

Google

Buona Sera! ::::: Grazie per la visita!

w3c ^up^ Stats

TP Comuni

Copyright (c) 2002 - 03 Giu. 2025  10:40:05 pm trapaninfo.it home disclaim

TP Comuni

Visitors

trapaninfo.it

Ultima modifica : 05/07/2024 16:44:07

Down @webmaster Up